30 Aprile 2021
L’esplosione della pandemia da Covid-19, all’inizio dello scorso anno, aveva inizialmente ridotto il traffico delle città e di conseguenza anche l’inquinamento. Ma nella seconda metà dell’anno le emissioni legate al settore della mobilità sono tornate ad aumentare, con il rischio di un ritorno al business as usual pre-covid. I centri grandi e medi si riorganizzano per essere sempre più “green” puntando su reti ciclabili, micromobilità e sul trasporto pubblico. Tuttavia, la crisi che sta vivendo il trasporto pubblico, la sospensione delle Ztl vanifica parte degli sforzi messi in campo. I dati non aiutano a lasciar ben sperare la rincorsa contro il tempo verso la decarbonizzazione delle città italiane che faticheranno sempre più ad essere in linea con le altre capitali europee: entro il 2030 tutto il Vecchio Continente dovrà tagliare il 55% delle emissioni climalteranti. Ma a questo ritmo il target rimane irraggiungibile.
Sono questi i principali temi del quarto Rapporto “MobilitAria 2021”, realizzato da Kyoto Club e dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IIA), che analizza i dati della mobilità e della qualità dell’aria al 2020 nelle 14 città metropolitane e nelle 22 città medie italiane che hanno approvato i PUMS.
Nel merito del NO2 in tutte le città si registra una riduzione delle concentrazioni, ad esclusione della sola città di Milano; tale decremento è connesso con la riduzione delle emissioni del comparto mobilità soprattutto nei primi mesi di lockdown dovuto alla epidemia da covid-19. La riduzione delle concentrazioni rimane comunque evidente anche nei mesi successivi del 2020. Le maggiori riduzioni delle concentrazioni medie sono state registrate nella città di Cagliari (-38%) e Catania (-37%) a cui segue Palermo con un -31% rispetto al 2019. La città di Milano risulta invece essere in controtendenza in quanto nel 2020 ha riportato un incremento del 7% rispetto all’anno precedente. Nel 2019 invece le città con un numero di ore superiori alle 18 ammesse erano Roma, Torino, Milano e Napoli.
Se per la concentrazione media annua del PM10 in tutte le città analizzate i valori nel 2020 risultano essere al di sotto dei limiti, permangono invece ancora diverse città che superano più di 35 volte il limite giornaliero del PM10 nell’arco di un anno. La situazione più critica si riscontra anche nel 2020 nella città di Torino (98 superamenti), seguono Milano con 90, Venezia con 88, Napoli con 57 e Cagliari con 38; anche Bologna e Roma, dopo rispettivamente 2 e 3, anni tornano a superare il limite.
Le concentrazioni di PM2,5 non indicano criticità per nessuna delle città analizzate.
C’è poi il capitolo mobilità urbana. Su questo fronte, lo studio analizza i provvedimenti intrapresi dalle amministrazioni comunali delle 14 città metropolitane italiane nel 2020.
Le città italiane hanno puntato nel 2020 meglio che in passato sulle due ruote. Il rapporto segnala infatti un potenziamento delle reti ciclabili e della mobilità attiva, grazie anche alle nuove regole del Codice della Strada. Tra i casi virtuosi ci sono Torino (+ 11 km), Milano (+ 67 km), Venezia (+18 km), Bologna (+ 16 km), Genova (+25 km), Roma (+ 33 km), Palermo (+ 4 km), Cagliari (+ 11 km).
I servizi di sharing mobility hanno continuato ad operare in diverse città italiane. In primis si deve segnalare un exploit della micromobilità, che ha esordito lo scorso anno: Torino ha aumentato con la sua del 14% mentre a Milano (3750 mezzi), Bari (1000), Napoli (1050) è stato avviato il servizio. Dall’altra parte, si segnala una diminuzione del car sharing in quasi tutte le città, mentre il bike sharing, in sostanza, ha tenuto. Per il car sharing e bike sharing si è registrata una diminuzione a Milano, Genova, Firenze, Roma, mentre vi è stato un aumento a Torino, Venezia, Genova, Firenze, Palermo.
Per quanto riguarda il parco circolante, il tasso di motorizzazione delle autovetture appare invariato o lievemente diminuito nella maggior parte delle città analizzate del Nord e Centro, con dati che non superano in ogni caso l’1% di scostamento. Invece è in aumento nelle città del Sud – Napoli, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo – andando ad aumentare il parco circolante in realtà già fortemente congestionate.
Per la prima volta l’edizione annuale di MobilitAria non si limita a sondare la situazione delle principali 14 città italiane, ma estende l’analisi anche ad altri 22 centri di media dimensione che negli ultimi anni hanno approvato un Piano Urbano di Mobilità Sostenibile (PUMS): Agrigento, Arezzo, Brescia, Cuneo, Distretto Ceramico, Ferrara, Foggia, Forlì, La Spezia, Lucca, Macerata, Mantova, Modena, Parma, Perugia, Pesaro, Pordenone, Prato, Ravenna, Siracusa, Taranto, Terni e Narni.
La ricetta per ridurre l’inquinamento dei centri medi, che hanno sostanzialmente gli stessi problemi di traffico delle grandi città, puntano al potenziamento della mobilità ciclistica e pedonale, rafforzamento del trasporto collettivo, politiche per ridurre l’uso dell’auto privata.
Molti di questi PUMS prevedono l’istituzione di nuove zone 30, o il potenziamento di quelle esistenti, soprattutto nel centro storico. Nel caso di Arezzo e Cuneo il PUMS è accompagnato da un Biciplan, documento specifico per la mobilità ciclistica. Il PUMS di Parma punta alla crescita della mobilità ciclopedonale, tenendo conto del Biciplan comunale già approvato e propone di realizzare un incremento della rete ciclabile del 136%, passando dai 125,5 km esistenti a 296 itinerari ciclabili. Innovativo il caso di Pesaro che per i percorsi pedonali prevede l’ampliamento degli spazi pedonali e la proposta di istituire (sul modello della città di Pontevedra) il Pesaro MetroMinuto, per indicare i tempi esatti dei percorsi pedonali e far comprendere l’efficacia degli spostamenti a piedi in città.
C’è poi il capitolo della mobilità elettrica, che viene trattata in modo limitato all’interno dei PUMS delle città medie come una misura utile da potenziare per migliorare la qualità dell’aria e la circolazione, in particolare all’interno del nucleo urbano centrale. Tale tipologia di mobilità è descritta e citata nella maggior parte dei casi studiati, tuttavia, è diffusa la mancanza di concretezza delle azioni e obiettivi attuabili per poter implementare operativamente questo sistema nel territorio comunale di riferimento. E il Recovery Plan del Governo Draghi non offre molto supporto in questa direzione.
«Le città e la mobilita urbana continuano ad essere i grandi assenti nel PNRR, anche in quello presentato dal Governo Draghi. Davvero insufficienti le risorse dedicate alle nuove reti tramviarie, metropolitane (3,6 mld) e per nuovi autobus (3 mld), limitate le risorse per la mobilità ciclabile (600 milioni), che non colmeranno il grave deficit attuale, come dimostra il Rapporto Mobilitaria 2021. Per gli investimenti ferroviari, a cui il PNRR conferisce 26 miliardi, si dedica alle reti locali regionali e ai pendolari solo il 30% delle risorse, mentre il resto è impiegato per l’Alta Velocità, in particolare per il nord. Resta marginale l’obiettivo della elettrificazione dei trasporti. Il PNRR del Governo Draghi non costituisce una strategia efficace per la svolta, verso la mobilità urbana e la decarbonizzazione dei trasporti. C’è da augurarsi che dal confronto in corso, dai progetti che saranno presentati, dal Fondo Complementare, dall’ulteriore fondo per investimenti di 26 mld annunciato dal Presidente Draghi, sia possibile riequilibrare la spesa verso la mobilità sostenibile delle nostre città». Lo dichiara la Coordinatrice del gruppo di lavoro “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club, Anna Donati.
Kyoto Club e Transport & Environment avanzano alcune proposte per orientare le scelte pubbliche del PNRR italiano, individuando tre ambiti prioritari. Ne risulta una proposta pari a 41,15 Miliardi di euro, da ripartire su tre ambiti prioritari: mobilità urbana e regionale (29,7 mld), elettrificazione (7,95 mld) e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali (3,5 mld).
Fonte: CNR