16 November 2017
Il 48% dei comuni italiani ha già avviato almeno un progetto Smart City negli ultimi tre anni, una quota rilevante ma la maggior parte delle iniziative – il 63% del totale – risulta ancora in fase sperimentale. Questo quanto emerge dalla ricerca sulla Smart City dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano, presentata al convegno “Smart City in cerca d’autore: quali strategie per (ri)partire?”.
Per il 2018 tre comuni su quattro hanno in programma nuovi progetti per rendere le città “intelligenti” ma resta la difficoltà ad estendere le sperimentazioni all’intero territorio cittadino e integrarle in una strategia di lungo termine. Negli ultimi tre anni le iniziative di Smart City si sono concentrate soprattutto su illuminazione intelligente (nel 52% dei comuni), servizi turistici (43%), raccolta rifiuti (41%), mobilità (gestione del traffico 40%, gestione parcheggi 33%) e sicurezza (39%). Per il prossimo anno si continueranno a orientare su questi ambiti, ad eccezione di un netto calo dell’attenzione verso i servizi turistici (indicati solo dal 12% dei comuni).
Ci sono segnali di miglioramento, ma l’Italia delle Smart City non ha ancora compiuto il salto di qualità in termini di maturità dei progetti. Le principali barriere sono costituite dalla mancanza di risorse economiche (individuata dal 71% dei comuni) e dalla mancanza di competenze (61%), più il problema trasversale della governance, a causa dell’alternarsi di amministrazioni diverse in pochi anni e della moltitudine di attori proprietari degli asset sul territorio. Per queste ragioni è difficile rendere i progetti economicamente sostenibili e la maggior parte si arena dopo la prima fase.
Alcune grandi città come Milano e Torino, ma anche realtà di medie dimensioni, come Cremona e Firenze, stanno portando avanti programmi di ampio respiro sulla scia delle grandi città europee come Barcellona, Amsterdam e Londra, mettendo a fattor comune sia progetti avviati dalla stessa municipalità che di attori terzi, come utility, società di trasporto, aziende che gestiscono la raccolta rifiuti.
Per affrontare adeguatamente progetti di Smart City, i comuni chiedono alla PA centrale soprattutto più fondi (nel 45% dei casi) e più formazione (38%), ma anche linee guida (36%), condivisione di best practice (34%), definizione di impegni e priorità (28%). Per far ripartire la Smart City oggi in Italia infatti è cruciale innanzitutto affrontare la questione della governance.
La collaborazione pubblico-privato – Per far ripartire la Smart City inoltre è necessarie potenziare la collaborazione con i soggetti privati, che oggi in Italia risulta ancora molto rara. La ricerca dell’Osservatorio Internet of Things rivela che nel 61% dei comuni italiani analizzati non è attiva alcuna iniziativa privata di Smart City, mentre nel 27% dei comuni queste sono attive ma non c’è collaborazione con la Pubblica Amministrazione. Solo nel 12% dei casi c’è una qualche forma di collaborazione tra l’attore pubblico e il privato.
Risulta inoltre importante il ruolo che assume il comune nell’avvio e nella gestione dei progetti. La maggior parte delle amministrazioni cittadine (il 66%) immagina di avere un ruolo da “promotore”, cioè il soggetto capofila che delinea le applicazioni prioritarie, la strategia per migliorare la qualità della vita dei cittadini e aumentare il livello di attrattività del territorio e che si impegna in prima persona a guidare i progetti. Quasi un comune su due in Italia (il 47%) vorrebbe un ruolo da “abilitatore”, che crea le condizioni per lo sviluppo di progetti Smart da parte di privati (es. mettendo a disposizioni infrastrutture, dati,…), sull’esempio di Barcellona dove la municipalità con la società privata Tunstall offre a più di 70.000 cittadini teleassistenza gratuita. Solo il 22% dei comuni italiani, infine, immagina per sé un ruolo da “utilizzatore”, che usufruisce dei dati condivisi da attori terzi per erogare a sua volta servizi, come il bike sharing senza stazioni fisse avviato a Milano e Firenze con le società Mobike e OFO.
Due comuni italiani su tre non utilizzano i dati raccolti all’interno dei progetti di smart City perdendo importanti opportunità per abilitare nuovi servizi per i cittadini. Nel dettaglio, solo il 34% delle amministrazioni utilizza i dati raccolti e, tra questi, appena il 12% li condivide con altri. Il 53% dei Comuni invece non utilizza internamente i dati raccolti, ma dichiara che saranno utilizzati in seguito. Nel 13% dei casi i dati non sono utilizzati internamente e difficilmente lo saranno in seguito.
Nel 2017 si segnalano alcune importanti evoluzioni nelle reti di comunicazione per lo IoT che consentono di ridurre costi e complessità nello sviluppo di nuovi servizi digitali per i cittadini. Alle nuovi reti come SigFox e LoRa, si affianca la rapida diffusione sul territorio italiano della rete Narrow-Band IoT e le prime sperimentazioni di reti 5G che coinvolgono già molte città, come Bari, L’Aquila, Matera, Milano e Prato.
Fonte: Cor.Com